Si possono rappresentare i luoghi di un esilio, quand’esso non ha - per l’esule - niente di "proprio"? Quando - soprattutto per Dante - i nomi che sono il paesaggio della memoria affiorano ormai in dolente litania: "Sacchetti, Giuochi, Fifanti e Barucci / [...] Sizii e Arrigucci" (Par., XVI, 104 e 108). Alberto Manguel e Nicola Giuseppe Smerilli ci accompagnano nella Ravenna che gli occhi di Dante poterono contemplare negli sguardi eterni che lo fissavano dalle icone musive dei monumenti bizantini nella citta dell’ultimo rifugio. L’appello che discende da quelle pareti azzurre e oro non detta soltanto le luminose tessere del Paradiso ma rimuove altresi dal "qui" ogni parvenza: "In Dante ci sono immagini che si allontanano e si accomiatano. E difficile scendere le valli del suo verso dai mille addii". La formula di Osip Mandel’tam ci accompagna in questo viaggio di parole e immagini, pronte a svanire dalla vista per imprimersi nella mente, in un delicato incidersi del sempre: "[...] si come cera da suggello, / che la figura impressa non trasmuta" (Purg., XXXIII, 79-80). Un libro che raccoglie, come ha scritto Alberto Manguel, "il respiro dell’universo nel respiro della parola".